Castel Campanile – Dalle origini all’abbandono

di Valerio Contrafatto.

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La storia dell’abitato di Castel Campanile, situato nel comune di Fiumicino, dalle origini, alla trasformazione in castello nel Medioevo, ai trasferimenti di proprietà da una famiglia nobile romana all’altra, fino all’abbandono.

Origini e sviluppo | La famiglia dei Normanni | Popolamento e abbandono | Collegamenti | Note | Bibliografia

Origini e sviluppo

L’area che si sviluppa a vasto raggio uscendo da Roma fuori Porta Cavalleggeri percorrendo la via Aurelia in direzione nord, comprendente la parte settentrionale della provincia romana, costituisce da sempre una ragguardevole riserva di preziose testimonianze archeologiche e umane che rimandano a popolazioni e luoghi remoti, alcuni ancora impressi nelle memorie dei testi storici, altri praticamente poco noti o addirittura emarginati tout court dalla storiografia passata e contemporanea.

Nella foto aerea si nota il profilo allungato lungo l’asse nord-sud del pianoro sul quale sorgeva Castel Campanile. Immagine tratta da Google Maps.

Castel Campanile si pone fra queste ultime località, comprese in età medioevale all’interno del Patrimonio di San Pietro, altrimenti indicato come Tuscia Suburbicaria. Le sue origini sono incerte essendo accompagnate da scarne testimonianze e riferimenti cronologici, a volte, inattendibili.

Questo sito appare in una lista di insediamenti fortemente voluti dai papi Zaccaria nell’VIII secolo e Adriano I successivamente, allo scopo di ripopolare alcune zone dell’agro romano rimaste abbandonate dopo la caduta dell’impero romano.[1]

Alcuni storici in passato sostenevano potesse trattarsi dell’antica Artena, località che, come riferisce Tito Livio, era posta tra le città etrusche di Caere e di Veio (urbs inter Caere atque Veios), distrutta dall’esercito romano già in epoca regia, che inizialmente si supponeva appartenesse ai Veienti ma che successivamente era stata collocata nella giurisdizione di Cerveteri. Tuttavia altre fonti remote hanno ipotizzato che sotto questo nome potesse celarsi l’Artena dei Volsci, occupata dai Romani nel 401 a.C., chiamata anche Ecetra e in seguito Fortinum, da cui sarebbe derivato poi il termine Montefortino conservatosi da epoca medioevale fino al 1873. Peraltro, teorie sorte nell’Ottocento collocano questo sito attorno all’area di Boccea nei pressi dell’Arrone,[2] posizione confermata anche da certa cartografia ufficiale del XVII e XVIII secolo.[3]

I ritrovamenti archeologici effettuati a partire dall’Ottocento in questo pianoro tufaceo dalla forma stretta ed allungata (identificato anche con il toponimo Castellaccio), e nei dintorni, fanno propendere alcuni per l’esistenza di un pagus, termine amministrativo romano che indica una circoscrizione territoriale rurale di origine preromana e poi romana. Tale pagus era forse inizialmente etrusco, certamente romano (grazie alle presenze dei resti di una villa di età imperiale), successivamente medioevale, periodo quest’ultimo in cui ne è testimoniato il massimo sviluppo demografico ed economico. Secondo altri non è provato che si sia mai formato sul pianoro un insediamento di qualche rilevanza prima del Medioevo.

La parte meridionale della collina di Castel Campanile vista da ovest. Fotografia di Roberto Maldera.

In un rogito del 1003, redatto da tale Johannes, dativus, iudex et tabellio civitatis Cerensis, il console e duca Giovanni, figlio di Melioso e della nobildonna Marozza, donava ai coniugi Giovanni e Bellinzona, abitanti nel castello di Piscla situato a poca distanza da Ceri, la propria porzione di terra sementaria acquistata dallanobildonna Costanza, terreno posto nel Fundus Campaninus, confinante da un lato con un piccolo fosso che discendeva nella Solforata, una sorgente di acqua sulfurea tuttora esistente e conosciuta con il nome di Caldara.[4]

Abbastanza ipotetica è la possibilità che il toponimo Castel Campanile possa essere posto in relazione con la gente cerite dei Campatii, vissuti in età tardo-repubblicana, in etrusco Campanes.[5] Ancora Fundus Campaninus è la denominazione con cui è citato in un documento del monastero di Santa Maria di via Lata del 1007,[6] mentre con il nome di castello Campanino risulta menzionato per la prima volta nella Bolla di papa Gregorio IX datata 2 agosto 1236 con la quale veniva costituito un privilegio a favore del vescovo di Porto-Santa Rufina.[7]

Il castellum Campanilis figura tra i beni che Alberto Normanni trasmette ad uno dei suoi figli, Giovanni Stefano, con il testamento del 28 febbraio 1254.[8] Nel testamento Alberto definisce con precisione i confini del territorio di Castel Campanile.

In un atto del 5 dicembre 1346 la vedova di Pandolfo di Andrea dei Normanni, Costanza, poneva in vendita alcuni beni ricevuti in eredità dai figli, fra i quali il Castrum Novum Castri Campanilis,[9] indicato anche come castrum novum filiorum Alberti. Trattasi in effetti di un unico insediamento, sebbene il Tomassetti ed il De Rossi abbiano inteso riconoscervi due distinte località.[10] I castelli, posti su territori tutti confinanti fra essi, furono acquistati per 60.000 fiorini dai fratelli Giovanni e Stefano, appartenenti al medesimo casato.

Castrum Novum fu fondato nella prima metà del XIV secolo in seguito alla divisione del territorio di Castel Campanile in due parti, o tenimenta, assegnate a Stefano e Giovanni, i due figli di Pandolfo Andrea Normanni, pronipote di Alberto. Dai dati storici e archeologici appare improbabile che Castrum Novum coincida con le rovine che si trovano presso l’attuale casale del Castellaccio. Il sito denominato “il Castellaccio” è, infatti, un insediamento medievale molto antico, anteriore all’XI secolo, la cui frequentazione cessa nel XIV secolo. A nostro parere, il Castellaccio è quel Castel Campanile citato nel testamento del 1254 di Alberto Normanni, mentre Castrum Novum fu edificato quasi un secolo dopo. In un atto del 15 ottobre 1344 è menzionato il «castrum novum haedificatum per ipsos Stephanum et Iohannem fratrem suum».[11] Resta da appurare dove si trovasse con esattezza Castrum Novum.

La collina di Castel Campanile vista da est. La strada in primo piano collega l’accesso sud-est del castello con l’attuale Casale del Castellaccio. Fotografia di Roberto Maldera.

Attorno al 1348 la moglie di Stefano, figlio di Giovanni Stefano Normanni, Perna Stefaneschi, cedette al capitolo vaticano i diritti pari a 7000 fiorini sui castelli del marito, cosicché la basilica vaticana acquisì il possesso della quarta parte di Castel Campanile e Civitella.[12]

Nel XV secolo la tenuta passò di proprietà alla famiglia Orsini, che già possedeva i feudi di Ceri, Cerveteri e Bracciano.

Il castello alla fine di quel secolo risultava diruto, tuttavia nel 1480 venne acquistato da Giacomella, madre di Galeotto e figlia del conte Everso di Anguillara;[13] in quell’epoca il fortilizio confinava con la tenuta di Castel Nuovo e del Castello di Palidoro. Successivamente, nel XVI secolo l’intera proprietà, frazionata, fu venduta alle famiglie Capodiferro (336 rubbi) e dei Cenci (240 rubbi).

I resti della porta di accesso a Castel Campanile. Fotografia di Roberto Maldera.

Agli inizi del 1600 Marc’Antonio Borghese, rappresentante dell’illustre famiglia romana,si appropriò della tenuta di Castel Campanile; precisamente, con rogito del notaio Ciarafalletta del 12 settembre 1612 acquistò la frazione dei Capodiferro; successivamente, (atto del segretario di camera Felice De Totis del 30 agosto 1618), quella dei Cenci; proprietà rimasta saldamente nelle mani dei Borghese per oltre due secoli.[14]

La famiglia dei Normanni

In relazione con le vicende di Castel Campanile, un attento approfondimento storico merita il casato dei Normanni, stanziatisi nell’Urbe fin dall’XI secolo, dei quali non è ancora emerso in modo sufficientemente attendibile il legame consanguineo con l’omonima stirpe di guerrieri venuti dal nord Europa. La storiografia ci riporta peraltro testimonianze circa l’alleanza dei Normanni con le antiche famiglie dei Tuscolani e degli Stefaneschi de Imiza.[15] In particolare, si ha notizia di rapporti avuti luogo fra la nobiltà romana e quella dei ducati meridionali anche da una Bolla di papa Giovanni X che riportava i nomi di illustri personaggi dell’aristocrazia residente nell’Urbe che avevano combattuto alla battaglia del Garigliano del 915 contro i Saraceni.[16]

Nel 1059 veniva indetto, a cura di papa Niccolò II, il Concilio di Melfi a seguito del quale si sanciva il riconoscimento da parte della Chiesa delle terre conquistate nel Meridione d’Italia dai normanni Roberto il Guiscardo e Riccardo di Aversa ad esclusione di Benevento. Come contropartita i conquistatori garantivano protezione personale e patrimoniale al pontefice.

Questi accadimenti storici ci inducono a non escludere a priori che, verosimilmente, da siffatte circostanze possa aver preso vita il principale ramo romano di questa stirpe cui capostipite noto come quello dei filii domini Stephani Normanni, sia proprio Stefano Normanni (si disquisisce tuttora se si tratti di cognome attribuito alla specifica nazionalità o, al contrario, riferito a particolari gesta). Un manoscritto dell’epoca sancisce un rapporto di fratellanza tra Pietro Latro e Stefano Normanni, figlio di un certo Oddone.

Con lo stesso nominativo viene identificato anche un appartenente a questo casato che nel 1105, quale sostenitore dell’antipapa Silvestro IV eletto nel novembre di quell’anno, osteggiò l’elezione del pontefice Pasquale II.

Sempre Stefano Normanni è ricordato, inoltre, nel contesto delle vicende storiche che lo videro protagonista e difensore nel 1118 di papa Gelasio II contro la potente famiglia dei Frangipane che, nell’ambito delle lotte intestine per la conquista del Sacro Soglio, aveva sostenuto l’elezione dell’antipapa Gregorio VIII, Maurizio Burdino.[17] In quel periodo, ricordiamolo, i Normanni, unitamente ai Corsi-Pier Latroni, risultavano risiedere in un gruppo di abitazioni o fortilizi situati nei pressi della chiesa di Santa Maria de Secundicerio nell’area cistiberina del ponte Santa Maria, chiamato anche ponte Emilio o Ponte Rotto (un secolo dopo i diretti discendenti Alberteschi, si stanzieranno nel lato trasteverino di quel ponte).

Di rango baronale, i Normanni imposero già dal XII secolo la loro influenza sia nell’ambito del clero che in quello istituzionale romano. Alternarono periodi di fedeltà alla Chiesa a momenti di devozione per la causa ghibellina. Tuttavia godettero sempre di alta considerazione grazie a matrimoni contratti con esponenti di importanti famiglie e per avere accumulato consistenti beni patrimoniali siti nella campagna a nord di Roma.[18]

Fra le figure di questa Casa degne di menzione ricordiamo Stefano, figlio di Alberto (di cui si parlerà in seguito), caduto con l’alleato Pietro Romani (marito della sorella Adelasia) nella battaglia di Tagliacozzo del 1268, a fianco del re Corradino di Svevia che combatteva contro Carlo d’Angiò.

Personalità di spicco del casato è stato certamente Alberto Giovanni Stefano Normanni (dal cui nome scaturì in seguito il patronimico Alberteschi in aggiunta al cognome della famiglia) fondatore di questa dinastia che aveva sede a Roma, in via della Lungarina, nobile proprietario di una lunga serie di tenute e castelli situati nel territorio compreso tra Cerveteri e Castel di Guido.

Dall’analisi del testamento da questi redatto in data 28 febbraio 1254 al cospetto del notaio Pietro di Giovanni Zambone, è possibile sottolinearne la qualità carismatica e l’inappuntabile senso d’equità. Difatti, al fine di evitare contrasti di interesse economico fra i futuri eredi, visti i dissapori già esistenti all’interno della famiglia, in un momento ineluttabile della propria esistenza disponeva un’imparziale divisione di tutti i suoi beni tra i figli maschi Giovanni Stefano e Stefano, imponendo loro l’obbligo di prestare giuramento per l’accettazione delle condizioni testamentarie.[19]

Mentre a Giovanni Stefano (che costituiva il ramo de Cere o Cerensis) venivano assegnati i castelli di Ceri, Palo, Castel Campanile, Castel Lombardi, Loterno, nonché il dominio sulla chiesa (oggi sparita) di Sancti Johanni Petrioli, il fratello (destinato a fondare il ramo Castiglione) acquisiva il possesso di Castiglione, compresa la torre di Palidoro, Castel di Guido, Leprignano, Testa di Lepre e San Giorgio. I due blocchi risultavano così divisi dal Guallicciolo, un corso d’acqua che successivamente venne individuato nel fosso delle Cadute.[20]

Naturalmente, le condizioni successorie di Alberto Giovanni Stefano prevedevano altresì precise disposizioni a carico dei due figli riguardanti il mantenimento della madre Egidia (rimasta vedova) e della moglie Thomasia, che veniva garantito dalle entrate derivanti dallo sfruttamento delle tenute di Testa di Lepre e Castel Lombardo. Lasciti erano destinati alla figlia Adelasia ed al marito Pietro, nonché a persone che a vario titolo avevano offerto collaborazione alle sue dipendenze (nel testamento vengono citati Aquilo e Benecasa).

Il ramo de Cere o Ceresis subì un ulteriore frazionamento su tre linee di discendenza che si estinsero tra il 1334 e il 1348; parte dei beni posseduti passò alla Chiesa, parte invece fu acquisita dagli appartenenti della stessa famiglia, grazie al matrimonio fra Giacoma di Alberto e Giovanni di Normanno e specialmente all’unione fra Pandolfo di Andrea e Costanza di Stefano, dai quali nacquero i figli Stefano e Giovanni, morti prima del 1346, anno in cui la loro madre ereditò le tenute dal ramo de Cere. Questi matrimoni consentirono la trasmissione dei beni patrimoniali all’interno dello stesso casato.

Sempre nell’ambito del casato Cerensis merita una particolare menzione Francesco Johannis de Normandis, personaggio controverso che negli anni fra il 1340 e il 1347 si rese protagonista di una querelle con lo Stato Pontificio per questioni legate ai possedimenti di Castel Campanile e Loterno dei quali ne rivendicava il possesso di un quarto. La questione si risolse poi con la restituzione delle quote alla Chiesa.[21] Consapevole dell’impunità derivante dal suo lignaggio si rese in diverse circostanze protagonista di atti delinquenziali, uno dei quali coinvolse due giovani malcapitati chierici i quali, provenendo da Pisa erano sbarcati malauguratamente a Palo, allora possedimento degli Alberteschi, subendo un sequestro da parte di Francesco. Poiché le scorrerie non cessavano papa Clemente VI, con lettera del 4 agosto 1347, fu costretto ad interessare il Corpo senatorio romano affinché adottasse le misure del caso nei riguardi di questo nobile alquanto discusso.[22]

Papa Clemente VI, che regnò 1342 al 1352. Ritratto a olio di Henri Serrur del XIX secolo. Da Wikimedia Commons.

La dinastia de Castiglione durò più a lungo e cessò verso il 1379 con la morte di Alberto di Pietro, unico superstite maschile dell’intero casato, mentre le figlie di Giovanni di Stefano di Normanno furono date in spose a personaggi della famiglia degli Anguillara. Tutti i possedimenti dei Normanni-Alberteschi, ridotti ormai ad un desolante abbandono, furono acquisiti in parte dalla stessa famiglia Anguillara, parte da proprietari di bestiame e possessori di terreni romani (i cosiddetti bovattieri).

Personaggi aventi lo stesso cognome ma appartenenti ad una stirpe di ceto inferiore sono stati individuati in Angelotto dei Normanni, caduto nella battaglia di Ponte Salario contro i Bretoni il 16 luglio 1378,[23] ed il camerlengo Andreozzo della stirpe dei Normanni congiunti ai Colonna, ricordato per aver schiaffeggiato durante un’assemblea capitolina il tribuno Cola di Rienzo, cui non perdonava l’aver condotto un’arringa contro la nobiltà, a favore del popolo.[24]

Dalla famiglia superstite del ramo Alberteschi–Salomoni provenivano, inoltre, figure come Francesca, che nel 1370 prese i voti e si fece suora a San Sisto all’Appia, e Domenica che seguì la stessa vocazione nel XVII secolo.[25]

Ricordiamo ancora Mario Salomone degli Alberteschi, Conservatore del Senato, vissuto sotto il pontificato di Alessandro VI, e Masia degli Alberteschi, donna molto bella sposata con Martino, signore di Porto che, accusato del furto di una galèa, subì una condanna a morte per impiccagione.[26]

Il casato Alberteschi si divise in tre rami di discendenza con le famiglie De’ Sordi, Palosci e Veneranieri.[27]

Arme dei Normanni: partito d’argento e di rosso a due bisce di verde ondeggianti in palo ed affrontate.[28]

Arme degli Alberteschi: Uno scudo d’antica forma, seminato di dieci gigli e sostenuto da due rami di fogliami e altri gigli.[29]

Popolamento e abbandono

Castel Campanile, come d’altronde altre località del territorio, ha subìto in varie epoche processi alterni di popolamento e di abbandono.

La valle del Fosso del Tavolato vista dalla collina di Castel Campanile verso sud. In questa area sono stati rinvenute tracce di insediamenti umani risalenti all’età del Bronzo. Fotografia di Roberto Maldera.

I primi insediamenti compresi nella vasta area cerite sono riferiti ad epoche che vanno dal neolitico al Bronzo finale e si rinvengono lungo le dorsali collinari di natura plio-pleistocenica che digradano verso le valli fluviali. Stanziamenti coevi si riscontrano anche lungo la costa.[30] Per quanto concerne il territorio di Castel Campanile, emergono sparute testimonianze già a partire dal paleolitico inferiore e medio fino all’età del Bronzo.

Grazie agli archivi giacenti presso i più importanti monasteri che dal 700 d.C. amministravano rilevanti proprietà fondiarie (le cosiddette domuscultae), si è ottenuta una iniziale ricostruzione storica delle presenze umane nel Lazio. I primi elenchi risalivano a papa Zaccaria, seguito vent’anni dopo dal pontefice Adriano I, ed erano basati sulla lista dei redditi che affluivano dai patrimoni o dalle proprietà terriere della Chiesa.

Successivamente, nel 1192, Cencio Savelli, camerlengo del Sacro Soglio, divenuto in seguito papa Onorio III, redasse il Liber Censuum, un inventario delle fonti di reddito provenienti da tutta la Cristianità, che comprendeva anche i contratti degli affitti fino all’VIII e al IX secolo, nonché i trattati stipulati con i Normanni.[31]

Solo dopo l’XI secolo e fino al XIV-XV secolo, l’istituzione dei registri di due fra i principali tributi in vigore in quel periodo come la tassa del sale ed il focatico, ha consentito di stimare la densità della popolazione, sebbene con approssimazione, prima che avvenissero i censimenti ufficiali dello Stato Pontificio, il primo dei quali reca la data del 1656, seguito da altri nel XVIII secolo.

La tassa del sale, riscossa dai gabellieri papalini, indicava la quantità di sale per il quale ogni singolo paese o castrum pagava il tributo. Il focatico invece era un’imposta diretta che a partire dal Medio Evo gravava su ogni famiglia.

Secondo i dati censiti tratti dal registro romano-senese riferito con ogni probabilità al 1363 (anno in cui era stato elaborato il nuovo codice statutario romano), Castel Campanile, allora proprietà dei Normanni-Alberteschi, veniva tassato semestralmente per 10 rubra salis. Sebbene per le successive imposizioni fiscali del 1416 e del 1447 tale dato fosse stato confermato, si ritiene che, come ribadito dai riscontri storici, il castrum Campanilis, alla stregua degli altri castelli proprietà degli Alberteschi (ad eccezione di Ceri, che continuò ad essere abitato e Castel Lombardo, invece, non presente in alcuna lista), alla fine del Trecento fosse stato abbandonato, rendendosi in tal modo concreta l’ipotesi che i redattori intervenuti nella trascrizione delle liste nel XV secolo, abbiano verosimilmente riprodotto le schede con i dati fermi al 1363, limitandosi a sottolineare per ogni castrum soltanto l’avvenuta condizione di scomparsa o abbandono.[32]

Purtroppo la carenza di carteggio idoneo a far luce sulla reale dimensione demografica di Castel Campanile in tutto l’arco del medioevo non aiuta a fare una ricostruzione, se non per approssimazione, della sua popolazione.

Anche insigni storici quali il Tomassetti ed il Pardi non sono mai pervenuti a giudizi convergenti, differendo il metodo di valutazione adottato da entrambi.

Bovini al pascolo a Castel Campanile. Fotografia di Roberto Maldera.

Nei censimenti del 1656 e del 1701 Castel Campanile non figurava affatto. E’ probabile che alla fine del XIV secolo l’attività agricola si fosse trasformata in pastorizia, circostanza questa che può essere messa in relazione con l’abbandono della tenuta.[33] Sopravvivono tuttora toponimi che attestano inequivocabilmente la naturale destinazione di tale territorio (Pecoraro, Guardamacchia, etc.).

Collegamenti

Visitatori e studiosi

I ruderi di Castel Campanile attirarono visitatori sin dagli inizi dell’Ottocento. Erano curiosi e studiosi, affascinati dalla solitudine del luogo e da ciò che restava della sua storia. Alcuni erano mossi dal semplice desiderio di comprendere cosa era stato quel posto un tempo. Altri erano attratti anche dalla possibilità di rinvenire antichi tesori d’arte.

Dorothy Kent Hill

Archeologa e storica dell’arte, Dorothy Kent Hill fu curatrice della collezione di arte classica della Walters Art Gallery di Baltimora negli USA per quarantadue anni. Alla fine degli anni Trenta del Novecento, venne in Italia per studiare l’origine di alcuni vasi greci ed etruschi della collezione a lei affidata, provenienti da Castel Campanile, che si trova nel territorio del comune di Fiumicino.

Il territorio

La storia di Castel Campanile è condizionata dalle caratteristiche del suo territorio. Un tempo quest’area era coperta dalle acque marine. Con l’emersione del fondale marino, l’attività vulcanica e i corsi d’acqua la trasformarono ancora. Nel Medioevo fu costituita una tenuta agricola richiamata in atti e carte catastali antichi e il cui nome ricorre nei toponimi fino ai giorni nostri.

Il castello e il suo borgo

I ruderi dell’insediamento medievale di Castel Campanile sono adagiati su una collina allungata e piatta nella sommità. Dell’antico abitato rimangono scarni tratti delle mura e i resti di alcune torri, i fossati difensivi, le grotte e le tracce delle sue chiese. I Templari gestirono una piccola tenuta agricola confinante con il territorio di Castel Campanile.

L’insediamento rupestre

L’insediamento abitativo medievale di Castel Campanile è costituito da numerose grotte scavate nel tufo. In queste grotte vivevano le persone, erano ricoverati gli animali e riposti gli attrezzi da lavoro. Accanto alle grotte, sono presenti altre cavità artificiali realizzate per vari scopi.

Le costruzioni in muratura

Intorno all’anno 1200 l’abitato rupestre di Castel Campanile, così come molti insediamenti in quel periodo, si munisce di una cinta muraria turrita di cui sono visibili numerosi resti. Sia il castrum vero e proprio che il borgo sono fortificati.

Note

1 Zuccagni 1843, p.494.

2 Nardi 1988.

3 Frutaz 1972, vol. II.

4 Coppi 1836, pp.342 e sgg..

5 Enei 1993.

6 Tomassetti 1910-1926, vol. II p. 533.

7 Ughelli 1717-1722, pp. 129-132.

8 Vendittelli 1989, p. 171 [8.1].

9 Una traduzione letterale suonerebbe così: Castelnuovo di Castel Campanile.

10 Franceschini 1994, p.22 e sgg. nota 12.

11 Traduzione: «castello nuovo edificato dagli stessi Stefano e suo fratello Giovanni». Vendittelli 1989, pp. 133-134.

12 Carocci 1993, p.384 nota 13.

13 Coppi 1836.

14 Tomassetti 1910-1926, vol. III p.534.

15 Marchetti Longhi 1926, p.128.

16 A questo riguardo Marchetti Longhi riporta quanto affermato in Fedele 1899; si veda: Marchetti Longhi 1926, p.133.

17 Orsi 1778, tomo X, p.239 e sgg.

18 Carocci 1993.

19 Vendittelli 1989, pp. 170 e sgg.

20 Franceschini 1994, p.41.

21 Si veda il testamento di Francesco Normanni del 14 gennaio 1347 in: Vendittelli 1989, pp.170-176.

22 Vendittelli 1989, p.133 nota 48 e p.161.

23 Hulsen 2000.

24 Rehberg 2004; Re 1854.

25 Spiazzi 1993.

26 Re 1854.

27 Tosi 1968.

28 Amayden 1967.

29 Moroni 1856, p.292.

30 Enei 1993.

31 Armellini 1887.

32 Vendittelli 1989, pp.164-165.

33 Conti 1980, p.97.

Bibliografia

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Armellini 1887: Mariano Armellini, Le chiese di Roma dalle loro origini sino al secolo XVI, Roma: Tipografia Editrice Romana, 1887, alcune parti del colume sono disponibili in Google Libri.

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Frutaz 1972: Amato Pietro Frutaz, Le carte del Lazio, 2 voll., Roma: Istituto di Studi Romani, 1972.

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Ughelli 1717-1722: Ferdinando Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiae, 10 volumi, Venezia 1717-1722, in Google Libri.

Vendittelli 1989: Marco Vendittelli, Dal Castrum Castiglionis al casale di Torrimpietra, Archivio della Società Romana di Storia Patria, vol. 112, 1989, p. 171 [8.1], disponibile in Academia.

Zuccagni 1843: Attilio Zuccagni Bernardini, Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia e delle sue isole, Firenze, 1843, Google Libri.

29 maggio 2020 (ultima revisione: 12 gennaio 2022).