Il DNA antico e l’origine degli etruschi

di Giampiero Marcello.

Chi erano gli etruschi? Da dove venivano? Secondo uno studio sul DNA antico, una parte consistente del patrimonio genetico degli etruschi risale a popolazioni dell’età del bronzo provenienti dalle steppe del Ponto e del Caspio, situate tra Ucraina orientale e Russia occidentale. Etruschi e latini erano parenti stretti dal punto di vista genetico e condividevano questa ascendenza. Le popolazioni delle steppe ponto-caspiche dell’età del bronzo diffusero le lingue indo-europee con le loro migrazioni. Perché i latini parlavano una lingua indo-europea e gli etruschi no?

Chi erano gli etruschi? Da dove venivano? Un velo di mistero è sempre stato steso sulle loro vicende per accendere la curiosità e la fantasia degli appassionati di storia antica. In effetti gli studiosi hanno a lungo dibattuto tra loro su due questioni fondamentali:

  • la loro origine, migrati in massa dalla Lidia, nell’attuale Turchia, come afferma Erodoto (V secolo a.C.), o autoctoni della penisola italiana, come sostiene Dionigi (I secolo a.C.)? Entrambi di Alicarnasso (città della Caria, una regione vicina alla Lidia e come essa parte dell’attuale Turchia), i due grandi storici dell’antichità hanno idee opposte sulla questione etrusca;
  • la loro lingua, imparentata con altre lingue, quali quelle parlate dai loro vicini latini e umbri, o diversa da tutte le altre, come sostiene ancora Dionigi di Alicarnasso?
Distribuzione dei popoli italici nella prima metà del I millennio a.C.. Fonte Wikipedia.

L’archeologia e la linguistica hanno portato i loro fondamentali contributi al dibattito. Oggi tra gli studiosi prevale la tesi che considera gli etruschi un popolo formatosi nella penisola italica, parlanti una lingua non indo-europea, diversa pertanto dal latino e dall’osco-umbro, entrambe lingue indo-europee, tesi propugnata con grande energia da Massimo Pallottino nella seconda metà del Novecento.[1]

Sul fronte archeologico le prove addotte sulla continuità con le popolazioni preesistenti appaiono convincenti, anche se colpisce la rapidità della trasformazione, culminata nel VII secolo a.C., di culture agricole locali in una civiltà raffinata, collegata da traffici commerciali e da scambi culturali intensi con le maggiori civiltà mediterranee, quali quella greca e fenicia. Negli studi più recenti, tale trasformazione è ricondotta agli effetti di sempre più frequenti scambi di beni e intensi contatti culturali piuttosto che a invasioni.[2]

I circuiti commerciali si svilupparono grazie al movimento di marinai e mercanti provenienti dall’Oriente mediterraneo, che stabilirono approdi e fondaci presso le comunità locali. Per soddisfare la richiesta crescente di beni di lusso da parte delle aristocrazie delle città etrusche, furono fondati empori, animati da una comunità variopinta e vivace di persone provenienti da ogni angolo del Mediterraneo.

Inoltre, nei centri urbani in espansione dell’Etruria si stabilirono artigiani – quali ceramisti, pittori, scultori, gioiellieri e bronzisti – che portarono con sé le maestranze necessarie per aprire botteghe specializzate nella produzione in loco degli oggetti di prestigio tanto richiesti. Gli artigiani locali fecero tesoro delle conoscenze dei maestri orientali, realizzando prima semplici imitazioni poi produzioni originali sempre più raffinate.

Particolare di un dipinto etrusco sulle lastre rinvenute nel XIX secolo dai fratelli Boccanera nella necropoli di Caere. Il dipinto è stato realizzato intorno alla metà del VI secolo a.C.. Le lastre sono oggi conservate nel British Museum di Londra. Immagine tratta da Wikimedia Commons.

Insomma, nella prima metà del I millennio a.C. molte persone si spostavano via mare da un capo all’altro del Mediterraneo, inducendo grandi cambiamenti nelle comunità locali come quelle dell’Etruria, ma la ricerca archeologica non ci autorizza a intepretare questi movimenti umani come migrazioni di massa.

Sul fronte linguistico prevale la tesi che l’etrusco non sia una lingua indo-europea ma piuttosto un relitto di lingue parlate prima dell’arrivo di popolazioni indo-europee nella penisola italica come i latini. Tuttavia, alcuni linguisti persistono nell’impegno di confrontare l’etrusco con altre lingue, tra le quali quelle di origine indo-europea, pur nella difficoltà di lavorare con un numero elevato di iscrizioni etrusche ma per la gran parte ripetitive e povere nel contenuto.[3]

Una terza componente si è inserita nel dibattito da alcuni decenni: la genetica.

Nel 1994 Luigi Luca Cavalli-Sforza, Paolo Menozzi e Alberto Piazza pubblicano un monumentale studio sulla popolazione mondiale, nel quale la storia dei popoli e le relazioni tra di essi sono ricostruite sulla base delle loro caratteristiche genetiche. Secondo questi studiosi, gli abitanti attuali della Toscana meridionale e del Lazio settentrionale, l’area che un tempo era il centro della civiltà etrusca, mostrano differenze genetiche tali rispetto agli abitanti delle altre regioni italiane (i sardi sono esclusi perché molto diversi dagli altri italiani) che è plausibile pensare che i loro antenati etruschi fossero colonizzatori provenienti dal di fuori del territorio italico.[4]

I tre studiosi presentano questo risultato delle loro ricerche con grande cautela, ma ciò basta perché i fautori della tesi migrazionista di Erodoto, messi all’angolo dalle argomentazioni degli archeologi, riprendano coraggio.

Nel 2007, due ricerche genetiche, una sulle razze bovine tipicamente toscane, come la chianina, e una sugli abitanti di Murlo, Volterra e del Casentino in Toscana, confermano i risultati di Cavalli-Sforza e dei suoi collaboratori. La prima ricerca registra caratteristiche nei toscani che li allontanano dalle altre popolazioni italiche e europee e individua un collegamento significativo tra gli abitanti delle tre località toscane studiate e le popolazioni del Medio Oriente; analogamente, la seconda ricerca segnala una diversità dei bovini della Toscana da quelli dell’Italia e dell’Europa, e trova un collegamento tra essi e quelli dell’Anatolia (nell’attuale Turchia) e del Medio Oriente.[5]

Le ricerche genetiche non si sono fermate e nei primi due decenni del XXI secolo hanno portato altri risultati importanti, che hanno complicato una questione che sembrava risolta.

Un primo risultato è che i più vicini geneticamente agli etruschi non sono i toscani di oggi, ma quelli del Medioevo, vissuti intorno a mille anni fa. Ciò implica che studiare il DNA dei toscani di oggi, come hanno fatto Cavalli-Sforza e i suoi collaboratori, non può dare indicazioni significative sulle popolazioni vissute in Toscana 2.500-3.000 anni fa.

Un secondo risultato è che tra i popoli moderni più vicini agli etruschi vi sono i toscani, come è naturale che sia, ma al secondo posto vi sono i popoli dell’Anatolia, non del resto d’Italia. Tuttavia, questa parentela tra etruschi e popoli anatolici risale a 8.000 anni fa, quando migranti dall’Anatolia e da altre regioni dell’Oriente antico portarono l’agricoltura in Europa e nel Mediterraneo occidentale.[6] È la rivoluzione neolitica, una migrazione molto più antica di quella raccontata da Erodoto che risalirebbe al XIII secolo a.C., cioè intorno a 3.200 anni fa.[7]

La rivoluzione neolitica: espansione dell’agricoltura dall’Asia occidentale nel Mediterraneo e in Europa. Le date devono essere interpretate anni ‘avanti Cristo’ (a.C.). Fonte: Wikipedia.

I progressi avvenuti negli ultimi anni nel campo degli studi genetici applicati alla storia delle popolazioni è stato prodigioso. In particolare si è arrivati ad analizzare il materiale genetico tratto dai resti, anche molto scarsi, di persone decedute migliaia di anni fa per risalire a quali erano le popolazioni da cui discendevano i loro antenati.

Uno studio pubblicato nel settembre 2021 su Science Advances, The origin and legacy of the Etruscans through a 2000-year archeogenomic time transect, fornisce un contributo molto importante. Gli studiosi hanno analizzato il DNA di 70 individui provenienti da 12 siti archeologici dell’Etruria, tra i quali Volterra, Chiusi, Vetulonia e Tarquinia. I campioni genetici appartengono a individui vissuti tra l’800 a.C. e il 1.000 d.C., un arco di tempo molto lungo che comprende lo sviluppo, la maturità, la crisi e la scomparsa della civiltà etrusca. Il patrimonio genetico degli antichi abitanti dell’Etruria è messo a confronto con quello di 16 individui, provenienti dal sito archeologico di Venosa, in Basilicata, vissuti nell’VIII secolo d.C., cioè pressapoco al tempo di Carlo Magno.

Sono quasi due millenni durante i quali si realizzano cambiamenti formidabili. In estrema (e sicuramente imperfetta) sintesi, nel corso di questo periodo di tempo:

  1. fioriscono le prime città etrusche e si afferma la loro splendida civiltà, che assimila ed elabora in modo originale il contributo dei popoli più intraprendenti e vitali del Mediterraneo, quali i greci e i fenici;
  2. il dominio etrusco si espande dalla Toscana e dal Lazio settentrionale nelle aree limitrofe: in Umbria, nella Valle Padana e in Campania;
  3. la civiltà degli Etruschi entra in crisi con la sconfitta subita dalla flotta etrusca nello scontro con le colonie greche dell’Italia meridionale, tra le quali spicca Siracusa;
  4. i romani sconfiggono le città etrusche più ricche e potenti, conquistando il loro territorio;
  5. l’Etruria è assimilata entro lo stato romano, che si sviluppa fino a dominare l’intero Mediterraneo;
  6. l’impero romano si consolida e si espande, integrandosi economicamente con l’Oriente e assimilando da esso importanti influssi culturali;
  7. nel V secolo d.C., la parte occidentale entra in una crisi irreversibile, le istituzioni si sgretolano e il potere politico in Italia è acquisito da popoli provenienti dal Nord Europa;
  8. i territori un tempo culla della civiltà etrusca sono divisi tra i Longobardi, che dominano la Toscana, e la Chiesa, che da Roma estende la sua influenza sul Lazio;
  9. i franchi conquistano il regno longobardo nell’Italia centro-settentrionale e spiegano la loro ala protettrice sulla Chiesa romana e sul papa, che contraccambia proclamando imperatore Carlo Magno, re dei franchi.
Vista di Orvieto nell’Ottocento. Città di origine etrusca, presso di essa si trova il Fanum Voltumnae, il santuario federale degli Etruschi. Immagine tratta da Cities and cemeteries of Etruria di George Dennis nell’edizione pubblicata nel 1878. Fonte: Wikimedia Commons.

Gli individui il cui DNA è stato esaminato dai ricercatori sono raggruppati secondo tre intervalli temporali:

T1: 48 individui appartengono al periodo dall’800 all’anno 1 a.C., che comprende l’età del ferro e il regime repubblicano a Roma (essi vivono nel periodo durante il quale sono compresi gli accadimenti relativi ai punti ‘1-5’);

T2: 6 individui sono vissuti tra l’1 al 500 d.C., il periodo imperiale (essi vivono durante il periodo di cui ai punti ‘6-7’);

T3: 28 individui (di cui 12 provengono dall’Italia centrale e 16 dall’Italia meridionale) risalgono a un tempo compreso tra il 500 e il 1000 d.C., il periodo dell’alto medioevo (essi vivono nel periodo di cui ai punti ‘8-9’).

Nel patrimonio genetico degli individui provenienti dall’Etruria del gruppo ‘T1’ sono riscontrati i contributi di tre gruppi di antenati:

  • i contadini del neolitico provenienti dall’Anatolia;
  • i cacciatori-raccoglitori europei;
  • i pastori dell’età del bronzo provenienti dalle steppe del Ponto e del Caspio, situate nell’Ucraina orientale e nella Russia occidentale.

Gli agricoltori provenienti dall’Anatolia si fusero con i cacciatori-raccoglitori presenti nella penisola italica e nelle isole della Sardegna e della Sicilia, dando origine alle civiltà contadine che fiorirono in Italia tra 8.000 e 5.000 anni fa.

Successivamente, si mossero verso Occidente i popoli delle steppe dell’Ucraina orientale e della Russia occidentale, chiamati dagli studiosi Yamnaya. Essi praticavano la pastorizia, avevano addomesticato il cavallo e avevano introdotto l’uso della ruota per muoversi su grandi e pesanti carri, sui quali caricavano tutte le loro cose, alla ricerca di pascoli per le loro mandrie di cavalli e bovini. Abili cavalieri e metallurghi, gli Yamnaya sono associati alla diffusione delle lingue indo-europee in Europa e nel Mediterraneo. Probabilmente essi colonizzarono l’Occidente europeo e mediterraneo muovendosi in ondate successive.[8]

Espansione degli Yamnaya e dei popoli ad essi collegati. Le date sono da interpretare come anni ‘avanti Cristo’ (a.C.). Fonte: Wikipedia.

I genetisti stimano che la componente delle popolazioni provenienti dalle steppe del Ponto e del Caspio ucraine e russe si colloca tra il 25% e il 50% del patrimonio genetico degli individui che abitavano l’Etruria antica (gruppo T1). Il resto del patrimonio genetico proviene dai contadini neolitici che già abitavano nella penisola italica. Infine, etruschi e latini sono molto simili dal punto di vista genetico, tanto da essere completamente sovrapponibili. In altri termini, etruschi e Latini erano parenti stretti, dato che buona parte dei loro antenati provenivano dalle stesse aree situate tra l’Ucraina orientale e la Russia occidentale. Probabilmente questi loro antenati parlavano lingue simili.

Cosa accadde poi al popolo etrusco?

Dopo la conquista romana dell’Etruria, il DNA degli etruschi rimane relativamente lo stesso per tutta l’epoca repubblicana. Se la comunità etrusca rimase isolata dal punto di vista genetico, ciò fece sì che gli etruschi mantenessero la loro cultura e la loro lingua per secoli. Il processo di integrazione degli etruschi nello stato romano fu, dunque, un lungo processo politico e culturale più che demografico.

Una integrazione più avanzata avvenne in seguito alla concessione della cittadinanza romana ai popoli italici nel corso del I secolo a.C., che consentì agli etruschi la piena partecipazione alla vita pubblica.[9]

Etrusco o romano? Statua di Aulo Metello, personaggio pubblico di Perugia o di Cortona probabilmente vissuto verso la fine del II secolo a.C., in piena epoca romana repubblicana. Fonte: Wikipedia.

Con l’affermarsi dell’impero, si verifica uno spostamento significativo di persone dall’Oriente a Roma e in Italia, schiavi e uomini liberi. Ricordiamo che nel 212 d.C. l’imperatore Caracalla concesse la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi dell’impero. Di questi spostamenti si ritrova traccia nei geni degli abitanti dell’Etruria del gruppo T2.

Gli individui del gruppo T3 registrano una importanza maggiore della componente riconducibile all’Europa centrale, in coerenza con lo stabilirsi di popolazione germaniche e nordiche in Italia con il crollo dell’impero in Occidente. Il mix genetico della popolazione alto-medievale dell’Italia centrale si avvicina, così, molto a quello della popolazione attuale dell’Italia centrale.

Tuttavia, gli abitanti moderni dell’Italia centrale non derivano dagli abitanti dell’Italia centrale prima dell’anno Mille. Questo significa che gli apporti genetici che caratterizzano gli italiani moderni sono successivi all’anno Mille. I toscani di oggi, insomma, sono diversi dagli etruschi, pur abitando nella stessa regione.

Proviamo a tirare le somme.

Da un lato, Dionigi di Alicarnasso e i suoi estimatori moderni vedono confermata dagli studi genetici più recenti la tesi che gli etruschi erano un popolo formatosi nella penisola italica e non trasferitosi in massa dall’Anatolia alla Tuscia. Con ciò cade uno degli argomenti a sostegno della parentela dell’etrusco con le lingue anatoliche.

Dall’altro, se gli antenati dei latini, insediatisi nella penisola italica, hanno conservato la loro lingua indo-europea, perché gli antenati degli etruschi avrebbero abbandonato la loro lingua (probabilmente parente di quella latina) per adottare quella più antica (non-indoeuropea) parlata dal popolo che abitava nella terre in cui si insediarono?

Una delle conseguenza importanti di questo studio è, quindi, riaprire il dibattito sulla lingua etrusca. Gli autori così sintetizzano la questione:[10]

If the Etruscan language was indeed a relict language that predated Bronze Age expansions, then it would represent one of the rare examples of language continuity despite extensive genetic discontinuity.

Se la lingua etrusca era davvero un relitto linguistico che è anteriore all’espansione dell’età del bronzo, allora esso rappresenterebbe uno dei rari esempi di continuità linguistica nonostante una estesa discontinuità genetica.

A quei linguisti che si sentono orfani della tesi migrazionista di Erodoto, la genetica offre la consolazione di poter sostenere che è tutt’altro che pacifico che la lingua etrusca sia diversa da tutte le altre e che la ricerca di una parentela con altre lingue, tra le quali quelle indo-europee, possa essere portata avanti con valide ragioni.

I sostenitori della tesi che la lingua etrusca sia un relitto di una cultura precedente a quella indo-europea concludevano che gli etruschi erano un antichissimo popolo non-indoeuropeo, che abitava nella penisola italica prima vi arrivassero gli indo-europei latini. Ma gli etruschi sono della stessa pasta genetica dei latini, quindi sono indo-europei quanto lo sono i latini. Probabilmente gli antenati dei due popoli sono arrivati nella penisola italica in tempi non molto distanti.

Il cippo di Perugia, datato al II-III secolo a.C., è una stele sulla quale è riportata una delle più lunghe iscrizioni in lingua etrusca che ci siano pervenute. Si tratta di un cippo confinario sul quale è inciso il testo di un accordo riguardante l’uso di un terreno. Fonte: Wikimedia Commons.

Occorre spiegare, allora, come è potuto accadere che la lingua dell’Etruria, antichissima e non-indoeuropea, non sia stata toccata dagli stravolgimenti dell’età del bronzo che, invece, hanno cancellato le culture e le lingue degli altri popoli non indo-europei che abitavano nella penisola italica prima dell’arrivo dei latini e degli altri indo-europei.

Così conclude Michael McCormick, storico dell’Università di Harvard:[11]

Now, the ball’s back in the historians’ and archaeologists’ court to understand … what it was about the culture of the Etruscans that helped it survive.

Adesso, la palla è di nuovo nel campo degli storici e degli archeologi che devono capire … cos’è che ha consentito alla cultura degli etruschi di sopravvivere.

Non sempre una cosa o è bianca o è nera; in mezzo c’è il grigio, in infinite totalità. In altre parole, è possibile che tra la cultura (e la lingua) degli pastori nomadi invasori indo-europei e la cultura (e la lingua) dei contadini stanziali autoctoni di ascendenza anatolica si sia realizzato un miscuglio originale, difficile da classificare, un rompicapo per gli studiosi (ciò a maggior ragione per la povertà linguistica delle iscrizioni etrusche pervenute fino a noi)? Insomma, la cultura etrusca non potrebbe essere il risultato di un processo di cambiamento e fusione, nel quale parte dell’antico è sopravvissuto adattandosi alle mutate circostanze sociali?

Note

1 Pallottino 1992, cap.II.

2 Rendeli 2007 e Abulafia 2019.

3 Magrini 2008.

4 Cavalli-Sforza 1994, p.279.

5 Magini 2007.

6 Barbujani 2021, pp.210-216.

7 Pittau 1995, pp.52-53.

8 Anthony 2010 cap.13; Reich 2018, cap.5; Anthony 2010. Secondo l’archeologa Marija Gimbutas i popoli delle steppe sono espressione della cultura kurgan. Si veda Gimbutas 2010.

9 Cecconi 2021, pp.124-127.

10 Posth 2021, paragrafo “DISCUSSION”, nel penultimo capoverso che inizia con «In conclusion, our study sheds light on five main aspects of Italian population history». La traduzione dall’inglese è di chi scrive.

11 Curry 2021, ultimo capoverso.

Bibliografia

Abulafia 2019: David Abulafia, Il grande mare. Storia del Mediterraneo, cap.III “Il trionfo dei Tirreni. 800-400 a.C.”, pp.110-126, Milano: Mondadori, 2019 (prima edizione in italiano nel 2013).

Anthony 2010: David W. Anthony, The Horse, the Wheel, and Language: How Bronze-Age Riders from the Eurasian Steppes Shaped the Modern World, Princeton (NJ): Princeton University Press, 2010.

Barbujani 2021: Guido Barbujani, Europei senza se e senza ma, Milano: Bompiani, 2021.

Cavalli-Sforza 1994: Luigi Luca Cavalli-Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza, The history and geography of human genes, Princeton (NJ): Princeton University Press, 1994.

Cecconi 2021: Giovanni Alberto Cecconi, La città e l’impero. Una storia del mondo romano dalle origini a Teodosio il Grande, Roma: Carocci editore, 2021.

Curry 2021: Andrew Curry, They may have founded Rome, then vanished. New work sheds light on the mysterious Etruscans. Study suggests this culture was native to Italy and not an import, Science, 24 september 2021, https://www.science.org/content/article/they-may-have-founded-rome-then-vanished-work-sheds-light-mysterious-etruscans.

Gimbutas 2010: Marija Gimbutas, Kurgan. Le origini della cultura europea, Milano: Edizioni Medusa, 2010.

Magini 2007: Leonardo Magini, L’origine degli Etruschi e due nuove ricerche genetiche, in “Automata”, n.2, pp.21-24, Roma: L’«Erma» di Bretschneider, 2007.

Magrini 2008: Alessandro Magrini e Giampiero Marcello (a cura di), La lingua etrusca: anatomia di un falso mistero, Intervista dell’Aruspice a Mario Alinei, Enrico Benelli, Giulio Facchetti, Massimo Pittau sullo stato degli studi dell’etrusco, pubblicato ne L’Aruspice, aprile 2008, notiziario del Gruppo Archeologico del Territorio Cerite (GATC), https://www.gatc.it/wp-content/uploads/2022/10/gatc-aruspice2008_01.pdf.

Pallottino 1992: Massimo Pallottino, Etruscologia, Milano: Hoepli, 1992 (la prima edizione è stata pubblicata nel 1942).

Pittau 1995: Massimo Pittau, Origine e parentela dei Sardi e degli Etruschi, Sassari: Carlo Delfino editore, 1995.

Posth 2021: Cosimo Posth e altri, The origin and legacy of the Etruscans through a 2000-year archeogenomic time transect, Science Advances, 24 September 2021, vol. 7, issue 39, https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.abi7673.

Reich 2018: David Reich, Who we are and how we got here, Oxford: Oxford University Press, 2018.

Rendeli 2007: Marco Rendeli, Gli Etruschi tra Oriente e Occidente, in Storia d’Europa e del Mediterraneo, vol.III, cap.V, pp.227-263, Roma: Salerno Editrice, 2007.

24 dicembre 2021 (ultima revisione 11 ottobre 2023)